“Ma come parla!?! Le parole sono importanti” grida Nanni Moretti nel film Palombella rossa (1989). Oggi, con un linguaggio più complesso, diremmo che le parole sono performative: nel senso che possono anticipare la realtà e, in qualche modo, la definiscono, la dicono, la narrano, la costruiscono. Quando usiamo una parola piuttosto che un’altra stiamo dicendo molto di più del significato: diciamo i nostri valori, il paradigma che seguiamo, la postura che assumiamo di fronte all’argomento.
Nel secolo scorso una parola aveva un significato: oggi, il paradigma digitale e della complessità, ha reso le parole vulnerabili a più significati, talvolta anche in contrapposizione.
Quindi parlare è dare forma alla realtà e alle relazioni che ne derivano.
Parole di genere
Un ambito nel quale facciamo più fatica a fare chiarezza e a usare le parole in modo appropriato è quello della sessualità e del genere.
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La realtà è molto più complessa e variegata e ci dice che, diverse persone, non si riconoscono dentro questa binarietà. Qui entriamo nel mondo LGBTQAI+: coloro che non vivono questa equivalenza e assonanza binaria tra biologia e narrazione, tra corpo e organi sessuali, tra interno (percezione) ed esterno (immagine esterna, apparenza).
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